Tassazione Unitaria Multinazionali

Stanno cominciando a prendere forma i primi negoziati internazionali su una questione di cui da trent'anni si discute in Europa senza aver mai raggiunto risultati concreti: la tassazione unitaria delle imprese sovranazionali.

All'ultimo G7, organizzato in Gran Bretagna, i rappresentanti dei paesi coinvolti (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone) hanno trovato un primo importante accordo sull'argomento, basato su due punti fondamentali:

  • una minumum tax globale con aliquota del 15%;
  • una web tax da corrispondere al paese in cui l'impresa digitale opera, in ragione di almeno il 20% dei profitti che superano un margine del 10%.

L'accordo vorrebbe limitare la competizione fiscale tra Stati, risultato che non si è ancora riuscito a raggiungere neanche all’interno dell'Unione Europea, e portare a tassazione i redditi dei giganti del web in parte anche sul luogo di realizzazione dei loro affari.
In prospettiva saranno abolite le molteplici web tax che molti paesi europei hanno approvato negli ultimi anni senza coordinarsi tra di loro, con un conseguente scarso successo in termini d’efficacia.

Quello della tassazione delle multinazionali prima e quello della tassazione delle multinazionali del web dopo, sono due facce dello stesso problema che ha importanti ricadute sul sistema economico mondiale da decenni e che è divenuto più urgente da quando la globalizzazione finanziaria ha permesso alle multinazionali di abbattere, fino in alcuni casi ad azzerare o quasi, il carico fiscale sfruttando le diverse situazioni normative in vigore nei diversi Stati e localizzando i redditi in paesi che offrono una fiscalità vantaggiosa.

La vera questione non è tanto il fatto che le imprese di queste dimensioni siano soggette ad un'aliquota effettiva piuttosto bassa, perché si potrebbe anche discutere sulla pressione fiscale applicata nei paesi occidentali. Piuttosto il problema è che le imprese di minore dimensione, quelle che operano nel perimetro degli Stati nazionali, finiscono con l'essere colpite da una pressione fiscale di molto superiore a quella delle multinazionali.
Già le imprese sovranazionali godono del vantaggio competitivo costituito dalla possibilità di sfruttare le economie di scala e la delocalizzazione della produzione: se a ciò si aggiunge un consistente vantaggio fiscale, il contesto risulta ampiamente distorsivo della concorrenza, poiché la competizione diventa effettivamente impossibile.

L’accordo raggiunto, che con ogni probabilità sarà ratificato anche dal prossimo G20 di luglio di Venezia, costituisce il primo passo di una strada in salita, poiché per realizzare effettivamente la tassazione di questo tipo di imprese sarà necessario raggiungere un accordo ben più elaborato di quello rappresentato dalle aliquote.

La questione è che l’ammontare di un'imposta, in termini effettivi, è il risultato di due variabili: l'aliquota nominale e la base imponibile.
Se anche l'accordo fissasse un'aliquota nominale unica, uguale per tutti i Paesi, la mancanza di regole comuni sulla determinazione della base imponibile su cui applicare l'aliquota renderebbe l’azione sterile, potendo gli Stati che vorranno effettuare politiche di competizione fiscale mantenere l'aliquota nominale fissa e agire sulle modalità di determinazione della base imponibile.

Su questa ipotesi un po' di scetticismo può nascere dal fatto che in Europa non si è ancora riusciti a consolidare una base imponibile comune per i redditi delle società, nonostante l'UE rappresenti una unione federale; e, si può presumere, un accordo in tal senso a livello globale non sarà più facile.

 

 

Milano, 15/06/2021

Cogede
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