Il country by country reporting
Il country by country reporting esteso agli Stati Uniti
Con un apposito comunicato, il Ministero dell'Economia, ha informato che dal 27 settembre dell'anno in corso (2017), è stato reso operativo un accordo tra gli Stati Uniti d'America e l'Italia per uno scambio dei CbC. CbC è l'acronimo che sta per Country By Country Reporting, ossia lo scambio tra stati dei documenti relativi alla rendicontazione delle controllanti dei gruppi multinazionali. Dalla data stabilita, vi sarà dunque obbligo di scambio tra i due paesi, anche per la rendicontazione relativa al 2016.
Il CbC, quando è stato introdotto
Ricordiamo che il CbC, introdotto dalla legge di stabilità 2016, sancisce l'obbligo per le società che hanno residenza in Italia, aziende che siano controllanti di gruppi multinazionali con fatturato consolidato di almeno 750 milioni di euro, di presentare un documento di rendicontazione paese per paese, e che indichi l'ammontare totale delle imposte versate, i ricavi e gli utili lordi, oltre ad ulteriori indicatori che ne testimonino l'effettivo esercizio economico. Le disposizioni sono state introdotte nel nostro paese con il decreto del 23 febbraio 2017.
Come funzionaSi avvicinano le scadenze fiscali. Entro il 31 ottobre dunque, il commercialista di società controllanti capogruppo di multinazionali, deve comunicare all'Agenzia delle Entrate i dati dei soggetti che hanno l'obbligo di presentare il CbC. Ma è solo il primo step. Facciamo un esempio. Supponiamo che la controllante di un gruppo multinazionale abbia sede a Pavia o a Milano. Con riferimento al periodo d'imposta 2016, il termine di presentazione del Country by Country Reporting, termine entro cui il modello deve essere trasmesso all'Agenzia delle Entrate da parte dei gruppi multinazionali operanti in Italia, scatta entro "i dodici mesi successivi all’ultimo giorno del periodo di imposta di rendicontazione del gruppo multinazionale", quindi entro il 31 dicembre del 2017. Sarà poi un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate ad approvare la rendicontazione fornita dal commercialista di Pavia o dal commercialista di Milano per conto della controllante.
Il CbC nel mondo
L'Italia non è il primo paese ad aver introdotto quella normativa. Risale al giugno dello scorso anno un accordo di sottoscrizione da parte di vari paesi, tra i quali Canada, Cina, India, Nuova Zelanda, Israele e Islanda, del Multilateral Competent Authority Agreement for the Automatic Exchange of Country-by-Country Reports CbC MCAA. Circa quaranta paesi hanno già sottoscritto l'accordo per lo scambio automatico di informazioni in ambito OCSE. È uno strumento che permette alle autorità di avere un quadro generale di come le multinazionali, con società controllanti nei rispettivi paesi, gestiscono le proprie attività.
Le Amministrazioni finanziarie statali hanno dunque la possibilità, grazie alla predisposizione di questi nuovi strumenti, di controllare l'attività delle imprese multinazionali, le loro operazioni, senza violare la riservatezza dei dati. Le multinazionali devono dunque fornire, all'interno della documentazione del Country by Country Reporting, dati relativi all'allocazione dei profitti realizzati e quelli relativi alle imposte versate, nelle singole giurisdizioni ove esercitano l'attività.
Deroghe statali
Nonostante l'impegno del Parlamento Europeo nell'approvare la normativa relativa alla maggiore trasparenza economica e finanziaria delle attività delle multinazionali operanti sul territorio dell'Unione Europea, si sottolinea da più parti l'esistenza di deroghe all'obbligo da parte delle multinazionali di fornire tutte le informazioni utili ai fini della controllabilità delle allocazioni relative alle imposte e agli utili. Un ostacolo a tali deroghe, in ogni caso, è rappresentato dall'obbligo del singolo Stato concedente l'esenzione, di fornire alla Commissione Europea le informazioni omesse e la motivazione della deroga.
Il caso Amazon
La guerra all'opacità è quanto meno attuale anche se viene combattuta già da diversi anni. La notizia riguardante il colosso Amazon a cui l'antitrust di Bruxelles ha chiesto la restituzione di duecentocinquanta milioni di euro, frutto di vantaggi fiscali illegali concessi dal Lussemburgo, forse non ha scosso più di tanto l'opinione pubblica mondiale in quanto non è la prima volta che una multinazionale finisce sotto i riflettori per motivi fiscali. Anche Facebook, Google ed Apple erano finite sotto i riflettori. L'inchiesta su Amazon è iniziata nel 2014 ad opera Commissione europea. L'accusa ad Amazon è di aver trasferito, con la compiacenza delle autorità del Lussemburgo, gran parte degli utili realizzati dalla divisione di Amazon EU in Lussemburgo, ad Amazon Europe Holding Technologies, società che non era soggetta ad alcuna tassazione, consentendo al colosso californiano di ridurre i profitti tassabili. Il Lussemburgo ha permesso ad Amazon di avere i tre quarti dei propri utili non soggetti a tassazione. Facciamo un esempio. Amazon ha indicato sulla dichiarazione dei redditi un ammontare in proporzione quattro volte più basso di quello presentato da un'azienda locale. Ossia ha pagato quattro volte meno tasse di quante ne avrebbe dovute pagare.
Aurore Chardonnet, di Oxfam, ha denunciato queste pratiche adoperate dalle multinazionali sul territorio dell'Unione Europea, che impoveriscono gli Stati a danno dei cittadini che pagano regolarmente le imposte. Il Country by Country Reporting va nella direzione auspicata dalla Chardonnet. Per questo l'accordo tra Italia e Stati Uniti, specialmente in periodo di scadenze fiscali come è questo, è un grande passo avanti, ma come giustamente ha sottolineato la policy advisor di Oxfam, "va esteso l'obbligo di rendicontazione a tutte le multinazionali che operano nell'area economica europea".
Milano, 20/10/2017
Team Cogede Consulting
Il Commercialista di Milano e di Pavia